Il racconto di una vita

Il racconto di una vita

L’Italia è sempre stata legata al fenomeno della migrazione. Oggi sono i nuovi migranti dei paesi arabi che cercano una terra promessa e una vita migliore. Gli italiani hanno già vissuto questa situazione, sono fuggiti dalla guerra, dalla miseria e da un paese in crisi. 
Vi racconterò la storia di Angelo Lena, figlio di italiani nato a San Daniele del Friuli nella provincia di Udine, il 29 maggio 1942.

La vità in Italia.

Senza madre e con un padre disoccupato, non ha avuto un’infanzia facile con suo fratello e le sue due sorelle: vivevano nella miseria assoluta. Alla mattina, quando si alzava, non c’era né latte né pane, nessun altro cibo e a mezzogiorno ancora meno e la sera niente. La mattina seguente, non poteva alzare le braccia perché non aveva forza, una situazione preoccupante per un bambino di 6 anni. 

Nel dopo guerra, tutti vivevano nella miseria, non c’era assistenza sociale e sanitaria, e non c’erano sussidi per la disoccupazione. Si viveva come si vive oggi in Benin o in Nigeria: nella povertà assoluta. Delle volte, quando un vicino gli dava un pezzo di pane e una scodella di latte con una manciata di sale, era una ricchezza ed una gioia per lo stomaco. Talvolta, la gente gelosa gli rubava il cibo. Vivevano in una casina senza luce né acqua corrente; quando c’era il temporale l’intera casina veniva inondata. Angelo mi ha detto con emozione “ Sono ricordi che bisognerebbe dimenticare”. Si ricorda la sua infanzia, quando andava a scuola e imparava la religione e il catechismo: doveva alzarsi alle 6 di mattina per andare a messa anche se aveva molto sonno. I giochi erano rari perché quando finì la scuola ad 11 anni, dovette cominciare a lavorare per aiutare la famiglia. Il suo lavoro consisteva nel fare dei blocchi per l’edilizia. 

Poi, a 14 anni, suo padre che era fabbro gli disse : “ Tu devi andare ad imparare un mestiere, è arrivato il momento, a 14 anni, devi lasciare casa”. Quindi, è andato a Milano, dove trovò lavoro come apprendista nell’edilizia. Lavorava sei giorni alla settimana e dieci ore al giorno, dormiva esposto a correnti d’aria e mangiava quanto basta per sopravvivere. Per avere un pezzo di pane in più e guadagnare dei soldi per lavarsi, lavorava la domenica: doveva portare il carbone nell’appartamento di una persona. Eseguiva il lavoro in silenzio senza mai lamentarsi, perché i soldi gli erano utili per mangiare. 

Il viaggio.

A 18 anni, per molti giovanni come lui, bisognava scegliere : restare nella miseria o andare via. Ma dove ? Dove c’era lavoro e dove la moneta aveva più valore cioè la Francia, la Svizzera o la Germania. 

Ha scelto la Francia per puro caso. Angelo era arrivato in Francia con il treno nel 1961, il viaggio durò 48 ore: il treno andava piano piano e si fermava in ogni città. Gli si stringeva il cuore perché era la prima volta che attraversava la frontiera. Angelo viaggiava con dieci persone e delle responsabili che delle volte gli davano dieci franchi per le spese alimentari. Arrivati alla frontiera dovevano registrarsi dove le autorità francesi li aspettavano. I controlli erano molto severi. Finalmente arrivò a destinazione, a Parigi e i suoi compagni di viaggio si dispersero tutti. Per lui tutto è andato bene ma per sua zia fu differente. Emigrò in Argentina, perché si credeva che in America si potesse vivere meglio. Una volta arrivati, fecero prestito per comprare una mucca o un cavallo in modo da poter lavorare la terra, ma il rimborso del mutuo non fu evidente poiché gli interessi erano elevatissimi. 

Quando vollero tornare in Italia, alla casa che già possedevano, si resero conto che  non avevano neanche il denaro per comprare un francobollo e scrivere alla famiglia. 

La vità in Francia. 

Una volta arrivato, la difficoltà più grande fu capire quello che diceva la gente. Angelo conosceva solamente 3 parole: “merde, merci e cochon”. Ha cominciato a lavorare qualche giorno dopo, sempre nel campo dell’edilizia. Era contento perché il franco valeva due volte la lira all’epoca. Ma il mattino, bisognava alzarsi alle quattro per otternere il permesso di soggiorno, un centinaio di persone aspettava davanti alla prefettura per avere i documenti. Per averli bisognava presentare un contratto di lavoro in corso. 

In Francia, Angelo era gessaio, lavorava con molti spagnoli, portoghesi, italiani e arabi, ed è per questo che la prima lingua imparata è stata lo spagnolo. Parlava anche un po’ di portoghese e ha imparato delle parole in arabo ma “non sono belle parole da ripetere”. I francesi erano distanti e cattivi con lui, gli dicevano “non puoi lamentarti perché se ti lamenti, rifai la valigia e te ne torni a casa tua”. Quindi Angelo faceva il suo lavoro, in silenzio senza lamentarsi, come ripete spesso “si lavorava senza rispondere”.

É rimasto 6 anni a Parigi e ha trovato l’amore. Ha incontrato sua moglie, Jacqueline, e l’ha seguita nella sua regione di origine, l’Auvergne. É diventato cittadino francese a 35 anni e hanno avuto 4 figli. L’unica che parla italiano è Paula. Lei parla anche spagnolo e inglese. Ha anche una nipote che parla italiano, l’ha imparato da autodidatta, come se fosse istinto primordiale. Infatti, riesce a parlare quasi correntemente con suo nonno. Angelo ha ancora oggi tanta voglia di scoprire e imparare il francese. Mi ha detto : “Siamo cittadini del mondo”. 

Nonostante tutto, Angelo ha conservato qualche elemento della cultura italiana, è fiero di essere italiano. Continua a parlare italiano e friuliano. Ha trasmetto queste due lingue a sua moglie e le parla con lei a casa. Sua moglie gli fa la pasta, il tiramisù, il panettone, l’ossobuco ma anche la polenta e il minestrone, tutto quello che gli ricorda l’Italia, il paese dov’ è cresciuto.  

Ha passato 40 anni della sua vità a costruire case, adesso, ha 76 anni, è un pensionato che passa il suo tempo a girare per la campagna in bicicletta. Un figlio d’ italiani, emigrato italiano che dedica il suo tempo ad accogliere turisti a casa sua in un B&B. Angelo, inoltre, ritorna ogni anno in Friuli Venezia Giulia per vedere la sua familia, suo fratello, le sue due sorelle e alcuni cugini. Quando è ritornato a San Daniele del Friuli, una donna gli ha detto “Che grandi mani hai!” lui ha riposto “Queste mani hanno amato, accarezzato, sudato e adesso sono del gatto.”

“Non ho nessun rimpianto, bisognava lasciare l’Italia, quindi lo rifarei”

Alla domanda : “Non le piacerebbe ritornare vivere in Italia ?” mi ha risposto che la cosa più importante per lui è tutto quello che è riuscito a costruire in Francia, cioè la sua famiglia e la sua casa.
 

Morgane Perret, 2018

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